La gravidanza è un’esperienza meravigliosa e particolare, che solo una donna che la sta vivendo o che l’ha vissuta può comprendere fino in fondo. Sin dal primo istante si rende conto di ciò che sta succedendo dentro di lei, delle trasformazioni del suo corpo e della vita che lentamente si sta formando, cellula dopo cellula, organo dopo organo, muscolo dopo muscol. La gravidanza è un qualcosa di viscerale che difficilmente, anche volendo, può essere raccontata, spiegata, mostrata. Eppure, il padre, il futuro padre, ne è responsabile almeno per un buon 50% ed in qualche modo vuole partecipare anche all’attesa in maniera attiva.
Nonostante questo, per molti uomini il periodo della dolce attesa rimane un qualcosa di nebuloso, poco definibile: nessuno pensa al papà ed a cosa sente in questo momento e sono tutti concentrati sulla panciona e sulle su come si sente.
Il futuro papà sa che dovrà abdicare al ruolo di figlio per assumere quello, certamente più difficile, di padre e per lui è molto più difficile accettare e comprendere il cambiamento radicale cui la coppia sta andando incontro.
Per la madre il bambino c’è, è tangibile e concreto dentro di lei sin dalle prime settimane perché lo sente muoversi e crescere dentro di sè. Il padre deve, invece, lavorare di fantasia, ipotizzare, assecondare e accettare ciò che può vivere solo di riflesso, attraverso i racconti della compagna/moglie. Per lui, i cambiamenti subiti dalla donna non sono visibili almeno fino al terzo mese, e anche allora hanno a che fare solo con l’aspetto ‘visibile’. Non è mancanza di sensibilità (o per lo meno non lo è sempre), è oggettiva difficoltà di comprensione e di calarsi nei panni della donna incinta.
La paternità è un processo complesso, che richiede un apprendistato più esteso rispetto a quello della maternità. L’attesa di un figlio per un uomo è, fin dall’annuncio del concepimento, un’epoca critica di elaborazione e di trasformazione. Un tempo delicato in cui egli deve fare i conti con le sue aspettative, con le sue certezze ma anche con i suoi dubbi. Deve cominciare a confrontarsi con l’immagine di un bambino non più fantastico, ma reale, che però appartiene ancora alla sua donna. Durante l’attesa anche i padri sono “gravidi” quanto la loro partner, ma sicuramente l’esperienza vissuta dai futuri padri è diversa. Non ci sono infatti i segni fisici della gravidanza, ma quelli psicologici, le emozioni i sentimenti legati al nuovo evento soprattutto quando si tratta del primo figlio. E questi sentimenti sono meno visibili ma non meno profondi e importanti. Al pari della sua compagna ha dubbi relativi all’integrità fisica del bambino, si confronta con l’angoscia della nascita e con l’incertezza del futuro che attende il figlio. In silenzio si interroga sulle sue capacità di diventare genitore e assolvere i suoi compiti. Si imbatte nella rabbia per il cambiamento di vita che lo attende, per il “rivale” ancora sconosciuto che dovrà incontrare. E poi deve confrontarsi con il suo essere stato figlio mentre affiora la relazione con il proprio padre.
Ecco perché è fondamentale che la futura mamma coinvolga il futuro papà sin dalle primissime fasi della gravidanza, dal momento del test fino al parto. Ecografie, visite di controllo, esami… sono esperienze che la coppia deve vivere insieme, raccogliendone magari informazioni e sensazioni differenti, ma che entrambi i genitori devono essere in grado di conservare dentro di sé per sempre. Magari il papà può essere coinvolto ancora di più dando a lui il compito di conservare ecografie e ricordi e di metterli in un “album” dedicato all’attesa.
Spetta alla donna, più in sintonia con l’arrivo del bambino, coinvolgere l’uomo nell’esperienza della gravidanza non solo dal punto di vista pratico (scelta del nome, visite mediche…), ma anche per ciò che riguarda l’aspetto emotivo. Tutte le emozioni, durante i nove mesi di gestazione, devono essere messe in condivisione all’interno della coppia: le paure, le ansie, le gioie, le speranze, le aspettative… Il papà sarà un ottimo punto di riferimento e una spalla su cui sorreggersi nei momenti difficili (tra l’altro sarà meno coinvolto e meno in balìa degli ormoni, quindi è la figura perfetta per sostenere la compagna), ma allo stesso tempo condividerà le gioie e gli entusiasmi per l’arrivo del bambino: anche lui sarà scaraventato nella gioia e nel terrore allo stesso momento.
Una stereotipata scenografia rubata soprattutto agli anni 60, per lungo tempo ci ha fatto vedere i padri camminare avanti e indietro davanti alla sala parto, immersi in una nuvola di fumo. L’attesa era tutta lì e riguardava quasi esclusivamente il sesso del nascituro. Non c’era un prima perché la gravidanza e il parto erano “cose da donna” che non li riguardavano e spesso non c’era neanche un dopo, perché per un lungo tempo il figlio era della madre ed il padre non se ne curava in prima persona. Adesso tutto è cambiato. Oggi i padri in attesa sono preparati ad affrontare il loro futuro ruolo più di quanto non potevano esserlo un tempo, ma quei 9 mesi rimangono pur sempre un momento delicato dove si incontrano paure, incertezze, solitudine. Questi nuovi padri frequentano i corsi di preparazione al parto, si informano sulla gravidanza, assistono alla nascita, partecipano al travaglio della compagna. In una parola sono anche loro protagonisti e non più solo spettatori.
Dal padre ci si aspetta collaborazione, partecipazione, competenza. Sia prima che dopo la nascita. E tutto questo ha grande valore, ma ha posto altri problemi.
Il nuovo padre è chiamato subito ad essere protagonista ed entrare nel ruolo, assumendosi le responsabilità che comporta la funzione genitoriale. Il più delle volte però è solo, senza modelli di riferimento, perché a suo tempo suo padre non ha fatto quello che tutti si aspettano oggi da lui. Non ha nessuna figura positiva, nessun modello paterno che possa andare bene al nuovo ruolo che ricoprirà, perché i nuovi padri sono completamente differenti da quelli delle generazioni precedenti. Quindi dovrà fare un’opera di “collage” prendendo alcune caratteristiche positive dal proprio modello paterno, ma integrandole con altre totalmente nuove provenienti da tv, amici, libri, quotidiani, internet. Perché i padri di oggi sono più accudenti, più empatici e presenti nella vita dei figli; amano prendersi cura di loro e trascorrere il proprio tempo libero con i bambini. Amano essere “competenti” nella gestione dei figli piccoli e si vantano di questo con gli amici, senza vergogna ma anzi con molto orgoglio.
I consigli, i suggerimenti, le lezioni del corso preparatorio servono, ma a volte non bastano, anche perché tutto di solito è incentrato sulla gravidanza vista e vissuta dalla donna. Inoltre gli uomini di solito fanno più fatica delle proprie compagne a verbalizzare le emozioni, figuriamoci davanti ad un gruppo di sconosciuti! Se entrambi ne sentono la necessità, può essere utile per la coppia parlare in privato con un professionista, che in un paio di consulenze potrà mettere in contatto i futuri genitori con le proprie emozioni sull’arrivo del bambino.
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